News feed Facebook: ecco perché penalizza le aziende
Facebook è un social network, una piattaforma relazionale, uno strumento per mettere in contatto fra loro persone. E fin qui ci siamo tutti. Poi sono subentrate anche le aziende, e la relazione si è estesa tra esse e gli utenti interessati ai loro prodotti. Facebook ci ha sempre abituati ai cambiamenti: da quelli estetici all’aggiunta delle reactions, fino all’introduzione di novità più importanti. Nell’ultimo periodo, infatti, parliamo di Facebook sia come social network che come media company. Non è più solo il luogo in cui restiamo in contatto con amici, vicini e lontani, o una pagina in cui chattare e condividere foto, ma si è trasformato progressivamente in una specie di browser e broadcaster, intento a distribuire sia contenuti prodotti da singoli utenti sia quelli dei brand. Abbiamo assistito al passaggio da contenuti statici a contenuti sempre più dinamici, persino i video, su cui Facebook punta moltissimo, vanno in questa direzione.
La battaglia contro le fake news
Negli ultimi anni è stato aggiornato spesso l’algoritmo che regola la sezione notizie, combattendo il clickbaiting e le fake news, provvedimento molto atteso nel mondo giornalistico. Di più: a Menlo Park hanno preso sul serio la richiesta di fare qualcosa contro la diffusione dilagante delle bufale, proprio quando “post-truth” è stata eletta parola dell’anno dall’Oxford Dictionary, nel 2016. L’idea è quella di collaborare con altre realtà che già si occupano di fact-checking, per segnalare più facilmente le fake news, anche alla luce dello scandalo della campagna pubblicitaria dalla Russia che avrebbe interessato diversi annunci sponsorizzati da Facebook a sostegno di Trump. Questa forte presa di posizione contro le fake news ha aiutato anche a recuperare la reputation della compagnia, che ha subito duri colpi ed è stata accusata più volte di fare disinformazione. Eppure, allo stesso tempo, è interessante notare come i siti di fake news rappresentino un’importante fonte di guadagno per Facebook, poiché generano molto traffico.
Mille aggiornamenti più uno
Il News Feed è lo spazio che viviamo di più Facebook, il cuore della piattaforma, ci mantiene in contatto con i nostri amici e con ciò che ci piace. Questa sezione è in continuo aggiornamento: come molti ricorderanno, prima ci venivano mostrati i contenuti in ordine cronologico, poi l’algoritmo ha invertito la rotta, rendendo determinante il tempo di permanenza che passiamo sui contenuti, in modo tale da soddisfare l’utente. L’obiettivo della sezione notizie è quello di mostrare le storie che contano di più per noi, e a stabilire cosa mostrare in cima al News Feed sono anche le azioni che compiono gli utenti (like, click, commenti, share).
L’11 gennaio Mark Zuckerberg annuncia un’ulteriore modifica dell’algoritmo per dare priorità ai post che scatenano conversazioni e interazioni significative tra gli utenti, mostrandoli più alto nel News Feed. Molti hanno parlato di un ritorno alle origini nella scelta di dare la precedenza ad amici e parenti e questo, naturalmente, pesa molto su pagine brand e testate, che sono nuovamente penalizzate. Ma c’è di più: le pagine che pubblicano contenuti con i quali gli utenti non interagiscono o che non commentano potrebbero veder diminuire significativamente la reach. Cambiano di nuovo le regole: via i concetti di viralità e condivisione e meno interazione con i contenuti pubblici a favore di una maggiore interazione tra persone. Zuckerberg ha deciso di combattere l’affollamento di contenuti di scarso valore in questo modo, notando che gli utenti si sono spostati sempre più nelle chat private e nei gruppi, preferendole a forme di interazione pubbliche. Sotto quest’aspetto la rivoluzione di Facebook rimette al centro gli utenti, che hanno dimostrato in diverse occasioni di fidarsi di più di aggiornamenti condivisi dai propri contatti. È lo stesso Zuckerberg a dichiarare: “Vogliamo essere sicuri che il tempo passato su Facebook sia tempo ben speso”, e la scelta di dare precedenza ai post di amici potrebbe allungare il tempo di permanenza degli utenti, allontanando il rischio che essi scelgano altre piattaforme.
Una censura a doppio taglio
Un altro argomento particolarmente controverso riguarda la censura dei contenuti su Facebook. Agli utenti viene data la possibilità di segnalare qualunque tipo di contenuto ritenuto offensivo e sono anni che Facebook cerca di “proteggere” gli standard della comunità. Il problema è che le regole da seguire per la moderazione dei contenuti risultano spesso contraddittorie e sono influenzate dalle capacità di giudizio soggettive dei singoli moderatori ed è facile incorrere in censure poco motivate. Non si contano le opere d’arte censurate da Facebook o le foto di campagne per prevenire il tumore al seno bollate come “sessualmente esplicite”. Il social network è stato spesso al centro di aspre critiche per essere intervenuto con lentezza nella rimozione di contenuti e, in altri casi, per aver rimosso post che non avevano niente di controverso, come una foto della Venere di Willendorf. Nonostante le buone intenzioni di Zuckerberg, si ha l’impressione che Facebook non riesca a stare dietro all’enorme quantità di contenuti pubblicati e condivisi ogni giorno da miliardi di utenti, e che compiti di questo tipo non possano essere in balia di algoritmi e intelligenze artificiali. Anche perché questa forma di censura sembra riguardare solo in minima parte bufale, fake news, e gruppi che incitano all’odio.
Doppio News Feed
Tornando alle modifiche strutturali, nell’ottobre 2017 è cominciato l’esperimento “Explore”, che prevedeva un doppio feed, uno con le notizie di amici e parenti e l’altro dedicato ad aziende e media. Il progetto è stato avviato in sei Paesi (Sri Lanka, Slovacchia, Serbia, Bolivia, Guatemala e Cambogia) ma non ha raccolto consenso da parte delle persone che, tramite diversi sondaggi, hanno fatto sapere a Facebook di non volere due feed distinti. In più, nel feed dedicato ai brand, molti editori avevano notato un rapido crollo del loro traffico, perché gli utenti trascorrevano più tempo sul feed dedicato agli amici. Qualche giorno fa, invece, Facebook ci ha ripensato e ha accantonato il progetto.
Esperimenti a danno delle pagine?
Abbiamo già affrontato le conseguenze pratiche del nuovo algoritmo di Facebook per le pagine delle aziende. La sua nuova politica sembra mettere al centro ancora una volta contenuti che sappiano stimolare dibattiti, conversazioni, interazioni significative tra le persone. D’altra parte, prese dall’incertezza, moltissime pagine hanno chiamato all’azione i propri fan invitandoli a modificare le impostazioni o spuntare la dicitura “mostra per primi” per poter ricevere gli aggiornamenti. E tuttavia sembra quasi inevitabile puntare sulle sponsorizzazioni dei post per non essere penalizzati.
Facebook premierà i contenuti organici delle aziende che si dimostreranno capaci di stimolare la connessione tra utenti, magari anche sfruttando i video in diretta, che generano più commenti. Certo è che brand e media soffriranno del calo della visibilità gratuita. Ma a pagare saranno anche editori e giornali: il nuovo algoritmo è un evidente passo indietro nella lotta annunciata alle fake news. Invece di favorire notizie e approfondimenti di qualità per contrastarle, Facebook ha annunciato che le news saranno meno visibili. Leggere un articolo silenziosamente avrà meno valore di un commento.
Le aziende dovranno pagare di più
Facebook si evolve continuamente e siamo tutti costretti ad adattarci e a correggere il tiro di volta in volta. La sensazione che resta è, tuttavia, che Facebook cerchi di spingere in un’unica direzione, quella delle Ads. E non è una sensazione recente: solo tra il 2014 e il 2015 più di 3 milioni di PMI in tutto il mondo hanno investito sulla piattaforma. Oggi quei numeri sono aumentati vertiginosamente. In un primo momento sembrava che contassero i like, e così le aziende hanno investito migliaia di euro per acquisire fan. Quasi immediatamente ci si è resi conto che bisognava investire sulla costruzione del brand, generare engagement, preferendo la qualità alla quantità. A Menlo Park hanno deciso di alzare la posta per le aziende, e per i milioni di piccole imprese e associazioni che lavorano su Facebook è difficile reggere il calo di visibilità improvviso, e anche un po’ frustrante.
Una delle prime vittime, almeno tra quelle più note, è Little Things, un sito che aveva costruito la sua fortuna grazie alla condivisione sul social network, con un seguito di 12 milioni di fan e che dopo il cambiamento dell’algoritmo ha perso il 75% del traffico. Il CEO della società, Joe Speiser, ha apertamente incolpato Facebook e Little Things ha chiuso i battenti qualche giorno fa.
La piattaforma avanza per tentativi, alcuni migliori di altri, e sperimentazioni, cercando di predire gli interessi sulla base dei comportanti degli utenti ed elaborando nuove strategie. Ma tra un cambiamento e l’altro si ha come l’impressione di fare parte di un esperimento senza fine che coinvolge sia singoli utenti che pagine aziendali, in cui gli investimenti non sempre vengono ripagati. Per quanto Zuckerberg la stia ponendo come un ritorno alla centralità degli utenti e delle loro interazioni, in realtà sembra solo un ulteriore modo per fare cassa, costringendo, e neanche troppo velatamente, le aziende ad un’unica possibilità: investire sempre di più nei contenuti sponsorizzati.