La scelta del nome di un’azienda, di un prodotto o servizio, richiede uno studio e delle strategie precise che, se presi troppo alla leggera, possono creare danni di immagine o portare addirittura all’insuccesso sul mercato. Oggi, fortunatamente, ci si affida sempre di più a professionisti, anche se qualche passo falso è sempre in agguato.

Le case history che girano intorno ad esilaranti traduzioni oltre confine sono innumerevoli. Per non commettere questi errori, è fondamentale, durante la fase di selezione del naming, controllare idiomi, slang, modi di dire e possibili associazioni culturali collegati al nome scelto.

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Gli errori di naming più clamorosi

Il termine inglese naming indica una branca del marketing, nata in Francia negli anni ’60, che si occupa di creare i nomi più adatti alla commercializzazione di prodotti e servizi.

Insieme a quelli particolarmente azzeccati, di naming sbagliati ne esistono in tutto il mondo e di tutti i tipi. Dalle traduzioni in altre lingue fino alle semplici assonanze con parole volgari: ecco alcuni esempi.

Da Moana a Oceania

La casa d’animazione Disney Pixar decise, alla fine del 2016, di modificare il titolo del suo film da Moana a Oceania.

Il cambio del titolo è scaturito da 2 motivazioni principali: facendo una ricerca su Google in Italia del nome Moana, il rischio è che tra i primi risultati appaiano dei video per adulti. Cambiare questo tipo di risultati comporterebbe un elevato dispendio di denaro, oltre che di tempo. L’altro motivo è il collegamento del nome Moana a Moana Pozzi all’interno di ogni focus group italiano.

IKEA, prodotti e traduzioni

Anche il reparto marketing della celebre azienda svedese ha commesso degli errori. Ad esempio, il carrello Fartfull in inglese si traduce come “pieno di puzzette” (fart significa puzzetta e full, pieno). Oppure, il vaso per piante Jättebra che in Thailandia potrebbe essere tradotto come sesso.

Estée Lauder e la strana nebbia

Nel 2009 la famosa azienda di cosmetici creò un fondotinta dal nome Country Mist (nebbiolina di campagna). Questo naming molto evocativo, in Germania richiama tutt’altro: in tedesco mist ha come significato quello di letame. Un nome non molto appropriato per un profumo.

Apple e iPad

Il lancio dell’iPad nel 2010 portò alla presentazione di un prodotto rivoluzionario, ma anche ad un iniziale presa in giro sulla scelta del nome, che ha come significato quello di assorbente.

Auto e nomi bizzarri

Nessun settore, sembra essere così ricco di errori di naming come quello delle automobili. 

Un esempio è il nome che la Mazda attribuì alla sua nuovissima Laputa: un nome che, nella penisola iberica, ha suscitato non poche ilarità.

Analogamente il caso della Toyota MR2 (che in francese diventa un appellativo piuttosto colorito) o della Toyota Fiera, che in portoricano significa brutta vecchiaccia.

Nemmeno l’utilizzo dei numeri mette al riparo da sgradite sorprese. Alfa Romeo dovette infatti sostituire la sigla della 164 prima di lanciarla nel mercato asiatico. Questo numero viene infatti interpretato come “morte diffusa”. Per risolvere il problema l’azienda scelse di ribattezzare l’automobile 168, ossia “ricchezza diffusa”.

Un caso simile fu quello della Renault, che negli anni mise in produzione un coupé chiamato Renault 17. In Italia, questo numero è noto per portare sfortuna: ecco perché nel nostro Paese venne commercializzata come Renault 177.

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Come nasce un nome di successo

La creazione di un naming vincente non è né semplice, né economica. Tutto inizia con un brainstorming: un gruppo di creativi si riunisce attorno a un tavolo proponendo idee in totale libertà (di queste, circa l’80% viene subito scartato). Il vaglio dei nomi più adatti avverrà in un secondo momento, guidato dalla razionalità e dalle esigenze di marketing. 

Seguirà un accurato controllo per verificarne la disponibilità dal punto di vista legale, in modo da non selezionare nomi già registrati o non registrabili: la legge non consente infatti di utilizzare come brand le denominazioni generiche di prodotti o servizi e le indicazioni descrittive. 

Esaurite queste verifiche, i nomi valutati nella fase finale sono solitamente meno di 10. A questo punto vengono presentati al cliente e si effettuano dei test per verificarne il gradimento e l’efficacia per i potenziali clienti: il risultato decreterà il vincitore.

Alcune regole d’oro

Il nome, soprattutto se di fantasia, deve essere breve, al massimo due o tre sillabe. È meglio evitare le denominazioni che si collegano a località geografiche, in quanto penalizzano l’internazionalizzazione dell’azienda.

I nomi legati a periodi o tendenze sono inoltre da valutare con attenzione, perché rischiano di passare di moda. Al contrario, quelli collegati ad un’idea potrebbero risultare particolarmente validi. È importante infine evitare i suoni duri e aspri o i gruppi di consonanti difficili da pronunciare.

 

Il brand rappresenta uno dei principali elementi di un’azienda. I prodotti e le confezioni mutano e si rinnovano, ma cambiare un naming di successo è decisamente più impegnativo. 

Basta fare infatti attenzione ai pasticci linguistici e condurre uno studio attento e coscienzioso nella fase di lancio di un brand, un prodotto o un servizio sul mercato.

Meglio spendere un po’ più tempo nella ricerca iniziale, che fare poi i conti con degli errori irrecuperabili.