È finalmente disponibile la ricerca sull’impatto sociale degli incubatori/acceleratori italiani. Un documento che, oltre al suo valore intrinseco, mostra anche una fotografia dell’Italia sull’innovazione e sui suoi protagonisti.
La ricerca, presentata a Milano a Gennaio, è stata realizzata dal Politecnico di Torino in collaborazione con Italia Startup e con il supporto di Cariplo Factory, Compagnia di San Paolo, Impact Hub Milano, Make a Cube³, SocialFare e Social Innovation Teams.
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Un’Italia che “accelera” a due velocità
Circa il 60% degli incubatori italiani è privato e si trova nella parte settentrionale della Penisola, solo il 15,4% presenta una natura pubblica (la quota restante possiede invece una compagine sociale che include soggetti sia pubblici che privati) e più della metà ha supportato organizzazioni a significativo impatto sociale.
La Lombardia è la prima regione italiana per numero di acceleratori attivi sul territorio e i due terzi delle startup operano nel campo dei servizi di informazione e comunicazione (il 40%) e in quello delle attività professionali, scientifiche e tecniche (il 25,8% del totale).
Chi c’è nell’indagine
L’indagine ha mappato 162 realtà fra incubatori veri e propri, acceleratori e spazi di coworking che offrono accompagnamento manageriale e/o formazione imprenditoriale. Fra i dati che evidenziano una distribuzione non omogenea dell’ecosistema dell’innovazione c’è in primis l’ancora limitata presenza di soggetti al Centro Italia (il 20% del totale) e nell’area meridionale e insulare, dove sono in esercizio il 18% di queste organizzazioni.
La ricerca evidenzia che gli incubatori italiani stanno crescendo e diversificandosi sia in termini di settori sia in termini di modelli di business. Molte di queste realtà hanno scelto di focalizzarsi su imprese a significativo impatto sociale, e questa specializzazione è senz’altro un elemento efficace di differenziazione per l’Italia.
Più della metà degli incubatori, in effetti, ha dichiarato di aver supportato organizzazioni a significativo impatto sociale. Il settore più rappresentato in questo senso è quello legato alla cultura, alle arti e all’artigianato (tema che interessa il 20% del campione), davanti alle nuove imprese attive nel campo della salute e del benessere (18%) e a quelle dedicate alla protezione ambientale (14%).
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Gli investimenti in capitale di rischio
C’è però un dato poco incoraggiante. Solo un quarto degli incubatori ha investito capitale di rischio nelle organizzazioni incubate nel corso del 2016, mentre non c’è stato alcun finanziamento da parte degli incubatori a matrice pubblica.
Quanto al fatturato, infine, in media gli incubatori italiani hanno prodotto nel 2016 ricavi procapite pari a 1,13 milioni di euro (per un aggregato stimabile intorno ai 183 milioni di euro) ma circa la metà degli operatori non è andato oltre i 250mila euro, confermando lo status di “nanismo” dell’ecosistema startup nostrano.
Le nuove imprese innovative, e il dato emerge dal campione di 382 startup incubate del 2016 in 32 diversi incubatori, esibiscono del resto ricavi medi che oscillano fra i 123 mila euro (le imprese a significativo impatto sociale) e i 127 mila euro.