Il metaverso, una parola dal sapore cibernetico e futuristico ma che in realtà ha più anni di quanti gliene daremmo. La prima volta in cui venne menzionato il metaverso fu nel libro “Snow crash”, romanzo fantascientifico scritto da Neal Stephenson, tra i più stimati autori del genere. Nel libro si parlava esplicitamente di una realtà virtuale alla stregua del celeberrimo Second Life, il tutto declinato in un contesto distopico tipico dei romanzi della corrente artistica e letteraria nata nella prima metà degli anni ottanta chiamata cyberpunk.

Ma adesso cos’è davvero il metaverso? Perché è sulla bocca di tutti? Cerchiamo di allontanarci dall’accezione primitiva (usando un paradosso) per passare a quella realmente rivolta al più prossimo dei futuri immaginabili.

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Cos’è il metaverso e come funziona

Partendo dal senso della parola in sé, per metaverso si intende un contesto di realtà analoghe (meta) contrapposte alla parola verso, intesa come una singola realtà. Contesti ovviamente generati dalle potenzialità di internet, per cui il metaverso risulta la naturale logica prosecuzione vivibile attraverso la generazione di avatar personalizzati che si muovono all’interno di una realtà in cui tutto è virtualmente tangibile.

Immagina di indossare un visore e di essere catapultato in un cyberspazio alternativo in cui sostanzialmente puoi interagire con gli utenti (e i loro avatar) e svolgere attività virtuali nella maniera più realistica e immersiva. Ovviamente questa definizione è limitata: difficile poter spiegare qualcosa che, seppur già esistente, viene descritta come l’evoluzione potenziata di un mondo di cui abbiamo appena assaggiato il potenziale tecnologico. Ogni riferimento a GTA Online, Fortnite (soprattutto nel caso del concerto ultra-immersivo realizzato dal rapper Travis Scott all’interno della piattaforma) è puramente casuale.

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Ma altri esempi più concreti di metaverso possiamo trovarli in Facebook, vero artefice dell’hype attorno al metaverso, per via del recente rebranding della holding ora chiamata Meta. Il progetto dei progetti sul metaverso, se così possiamo definirlo, un passo nel futuro lanciato e descritto dal capo Mark Zuckerberg lo scorso 1° Novembre, all’interno dell’evento Connect 2021. Se con Oculus ci siamo approcciati alla realtà virtuale, è col progetto Workrooms di Horizon che possiamo davvero averne in testa le reali opportunità. Tramite un visore si accede in un ambiente virtuale simile ad una sala conferenze in cui ci pare di essere fisicamente lì, in compagnia, ovviamente, di altri avatar personalizzati. Una vera e propria esperienza di lavoro, non simulata ma effettiva, seppur virtuale. Vissuta. 

“Potremo sentire la presenza degli altri e il loro linguaggio del corpo, le loro espressioni, come se fossero lì”.  

Parole eloquenti quelle di Zuckerberg, che crede fermamente al progetto Meta e al significato di metaverso.

Chi si immagina fin da subito immersioni nel più fantascientifico dei mondi è fuori strada, ma la semplicità di una riunione in modalità virtuale è già realtà. Un modo futuristico di accorciare le distanze e lavorare in maniera alternativa in remoto senza perdere la necessità del contatto, anche emotivo. 

Ovviamente, se parliamo di metaverso non parliamo esclusivamente del progetto Meta, ovvero il più imminente dei metaversi. Altre grosse società sono e saranno in grado di elaborarne uno personale e in linea con i propri interessi. Microsoft e Disney sono già in scia. Ma ancora, sarebbe riduttivo banalizzarne il significato e l’intento dando in mano il senso totalmente a queste società. Il futuro ci parla di tanti metaversi, interconnessi tra loro ma comunque da immaginare sempre in relazione alla real-life al di fuori da quella virtuale. 

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Aspettative sul metaverso

L’intento generale è quello di riscrivere le regole del web, anche se queste rischiano, col metaverso, di essere dettate da pochi autori che con l’interesse personale (che spesso cozza con l’etica) possono deciderne le sorti in maniera arbitraria.

Ciò che servirà fare sarà, pian piano, preservare l’integrità degli spazi virtuali da condividere, soprattutto quando verranno sfruttati per ragioni che coinvolgono la sfera lavorativa dell’utente. E per questo servirà il coinvolgimento e la consapevolezza di tutti. Sì, di tutti, perché saremo in miliardi a favorire di questa tecnologia, che è materia non esclusiva o di proprietà privata, seppur sviluppata grazie ai quattrini di poche persone. Se sarà davvero l’evoluzione di internet lo dirà il tempo, forse siamo solo agli albori dell’evoluzione più importante del secolo, ma  è bello (o no?) anche il solo pensiero di vivere in un momento così topico per il futuro dell’essere umano?

Ai posteri (in 3D) l’ardua sentenza.