Molti ne sono convinti, il metaverso è l’unico dei mondi possibili, carico di prospettiva e innovazione. E carico di posti di lavoro. Zuckerberg lo ha detto chiaramente: entro cinque anni, Meta (non chiamiamola più Facebook) prevede l’assunzione di almeno 10.000 persone in tutta Europa. A cosa lavoreranno queste persone? Al metaverso, ovviamente. Ingegneri e sviluppatori ultra-specializzati saranno la benzina che alimenterà la nuova realtà virtuale che ci attende.

I connotati della previsione presentano caratteristiche di urgenza. Perché? Le trombe del colosso americano dei social network hanno suonato troppo forte. Non ci potrà essere smentita, ridimensionamento di cotanto scenario. Un tornare nei propri passi, ammettere che ci vorrà più tempo di quello previsto, non è contemplato. Il metaverso di Zuckerberg reggerà le aspettative declamate? E se la meraviglia immaginata non fosse vera meraviglia?

Qualche avvisaglia di bluff, perlomeno per gli inizi del viaggio, possiamo già percepirla.

Prime critiche del metaverso

Dietro la porta dorata, le voci entusiaste sul metaverso si attenuano un po’. Nomi importanti parlano con cognizione di causa sulle possibili implicazioni di questa nuova realtà. Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google e co-autore di uno più importanti e recenti libri sull’intelligenza artificiale – La nuova era digitale: La sfida del futuro per cittadini, imprese e nazioni – ha mostrato un granitico scetticismo:

Tutte le persone che parlano del Metaverso si riferiscono ad un mondo che è più gratificante di quello attuale. Sei più ricco e più bello, più potente e persino più veloce. Quindi, tra qualche anno, credo che le persone sceglieranno di passare più tempo con un visore in testa che nel mondo reale”.

Questo è da considerarsi un bene? Una domanda a cui è impossibile dare una risposta, ora. Se davvero tutto sarà più bello quanto tempo servirà ad allineare tecnologicamente tutto il pianeta a questo nuovo livello di percezione?

Allontanarsi dal reale senza lasciare nessuno indietro costerà parecchio. Tutti, soprattutto i più lenti, vorranno saltare sul carro del mondo perfetto. Abbattere in fretta i muri e passare dalle stalle alle stelle, dalla povertà del mondo reale alla tracotanza di quello virtuale. Là fuori, dicono, tutto cadrà in rovina, preda dei cambiamenti climatici e della vacuità di un mondo pressoché soppresso, vecchio agli occhi di chi la realtà la può già vivere artificialmente con un visore.

Chi riuscirà a salire sul carro? Il carro esiste? Il metaverso è appena nato e promette meraviglia. Ma forse non per tutti. 

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Chinetosi e altri dilemmi

Intanto sale alla ribalta una parola: chinetosi, da molti chiamato mal di VR. La chinetosi è un problema transitorio che coinvolge gli apparati sensoriali. In sostanza si tratta di un disturbo neurologico in grado di generare nausea e malessere in seguito a uno spostamento ritmico a corpo sostanzialmente fermo. Sull’altalena, per esempio, si può avere un senso di malessere: il corpo è fermo, il cervello no, vede e sente.

Con un visore negli occhi, immersi in una realtà virtuale la chinetosi è dietro l’angolo: vertigini e nausea sono le prime sensazioni che potremmo vivere. I possessori di Oculus sanno bene di cosa stiamo parlando. Abbiamo letto di rimedi, di metodi di prevenzione e di miglioramenti della tecnologia che la stessa Oculus, con i nuovi visori, ha già lanciato. Quindi, basterà diminuire i fattori di latenza che allineano movimento e reazione cerebrale per annullare disequilibrio e disorientamento o c’è un  rischio di causare danni neurologici perenni? Il danno neurologico può causare fattori che enfatizzano la dipendenza da realtà simulata?

Anche qui le risposte sono tutt’altro che scontate o già scritte. Anche i social sembravano poter essere innocui, poi col tempo abbiamo scoperto che la lunga esposizione può causare danni di tipo cognitivo. Problemi sottaciuti, respinti, ma infine ammessi. Per questo servirà realizzare un’infrastruttura regolatoria così come – in ritardo e a grandi linee – abbiamo fatto con i social. 

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Una realtà da regolamentare 

Troppe le domande a cui dare risposte. L’autoregolamentazione non funziona quando di mezzo ci sono tecnologie così potenti ed impattanti. Servirà trasparenza, così come servirà riconoscere che il metaverso può essere di tutti e nessuno. Mai di uno solo. Aspettiamoci un mondo che, se davvero sarà grande come Zuckerberg crede, preveda fin da subito il rispetto delle libertà individuali. Se così non dovesse essere, andremo incontro alla più classica delle distopie immaginate dai tanti teorici delle tecnocrazie digitali egemoni e tiranne. Tutto ciò che c’è di buono nel metaverso farà rima con sorveglianza e controllo. 

Vi stiamo allarmando? Tranquilli, Facebook, occhio lungo, ha creato già una prima bozza di discussione per la regolarizzazione del metaverso. L’auspicio del colosso è quello di riuscire a trovare fin da subito l’approvazione e l’appoggio di tutti sui temi dell’antitrust e della raccolta dei dati. Creare un metaverso per le persone e per le aziende sarebbe la soluzione ideale, ma i temi potrebbero sovrapporsi e causare problemi.

Tra meraviglia e distopia, lo diciamo francamente, noi sceglieremmo la verità, che non sia falsata dalle troppe aspettative date per imminenti e vitali, oppure influenzata dagli obiettivi di aziende senza scrupoli in grado di disilludere il più visionario dei sognatori. 

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