La pandemia di Coronavirus e la conseguente crisi economica rischiano di mettere in ginocchio un intero ecosistema, quello delle startup e dell’innovazione. Ma, allo stesso tempo, rappresentano una sfida eccezionale per un’intera generazione di imprenditori che saranno costretti a rivedere piani di sviluppo, di fundraising, di gestione del team e dei progetti, ma anche di approvvigionamento di prodotti e servizi fino, nel caso peggiore, a pensare di modificare il proprio business model.

Ma nella pelle di chi fa startup c’è già tutto questo. Ecco perché abbiamo voluto affrontare questi temi, in diretta Facebook, con Angelo Coletta, imprenditore, startupper e Presidente di Italia Startup, la più grande associazione italiana del mondo startup, per delineare alcune risposte possibili per un settore dai numeri importanti.

11mila startup innovative, 1.500 PMI innovative e 30 incubatori certificati per un totale di 60mila addetti.

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Intervista ad Angelo Coletta

Michele Franzese

Buongiorno e grazie ad Angelo Coletta per aver accettato l’invito. Per iniziare, vorrei partire chiedendoti dove sei in questo momento e soprattutto come stai vivendo questi giorni un po’ complicati per tutti noi.

Angelo Coletta

Grazie a voi dell’invito. Al momento mi trovo in Puglia, fortunatamente non stiamo ancora vivendo la situazione drammatica che purtroppo esiste al Nord dove peraltro non solo ho tanti amici ma io stesso lavoro con alcune aziende. Che dire? Reagisco in modo zen aspettando che questo evento imprevisto ci lasci, o almeno che lasci lo spazio al dinamismo che sarà necessario in futuro per ripartire.

M.F. Rispetto alle imprese, alle startup e alle attività imprenditoriali che hai attualmente in ballo, come ti stai organizzando dal punto di vista dello smart working? Ci racconti brevemente quali sono in questo momento i tuoi focus principali?

A.C. Devo dire che noi, anche in anticipo rispetto al decreto emanato, avevamo già messo la quasi totalità dei lavoratori in smart working. Questo per un’impresa digitale è un po’ più semplice rispetto alle imprese di altri settori, quindi da nativi digitali ci siamo trovati molto più preparati di fronte a questa modalità di lavoro. 

Gli impatti del covid-19 sono diversi in base al business in cui sono impegnato: ad esempio, alcuni anni fa ho acquistato una startup nel settore del cinema che in questo momento è ferma ma sulla quale proprio adesso ero giunto ad una exit parziale.

I cinema sono chiusi e in questo caso parliamo di un’attività che sta vivendo appieno lo stop totale del proprio fatturato. Invece un’altra startup che opera nei mercati internazionali e che lavora nel settore dell’eCommerce, Zakeke, è cresciuta anche durante l’ultimo mese.

Questo è un segmento dove non vedo particolari impatti se non quelli momentanei di alleggerimento del fatturato, che però non impattano sulla vita e sul potenziale futuro dell’azienda.

M.F. Parliamo di Italia StartUp. Per una realtà con un approccio così flessibile e dinamico la vita dovrebbe essere un po’ più semplice, ma in realtà le aziende più innovative sono anche quelle più acerbe e “instabili” dal punto di vista finanziario.

Non a caso, tra le startup avverto già grandissima preoccupazione, e lo vediamo anche dal moltiplicarsi degli appelli, delle proposte e dai tantissimi commenti sui social media ma non solo. Proprio oggi pensavo che le startup sono divise tra due ruoli: da un lato il malato, che con ogni scongiuro possibile potrebbe però morire per primo, dall’altro il medico, che invece ha compreso e sperimentato la cura. Secondo te qual è la possibilità che si vada in una o nell’altra direzione?

A.C. Io credo che per le startup siano valide entrambe le cose, ovvero rischiano di ammalarsi se non gli viene fornito un dispositivo di protezione adeguato, che in questo caso è rappresentato dalla liquidità che permetterebbe a questo gruppo di imprese innovative e dinamiche di essere il medico di un’Italia capace di ripartire. Diciamo che mi piace vederle nel ruolo del medico, ma è importante che ci vengano forniti per tempo i dispositivi di protezione.

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M.F. A tal proposito, poco fa leggevo una frase molto bella:  “Oggi ogni PMI dovrebbe sentirsi una startup”. Questo approccio, questa capacità di adattamento e questa disponibilità  al cambiamento c’è già. Non devono certamente abituarsi allo smart working perché lo utilizzano da sempre e non devono abituarsi a mettere in discussione il proprio business model perché lo fanno da sempre.

Da questo punto di vista dunque sono  avvantaggiate, e poi ci sono anche tanti startupper che in questo momento stanno mettendo gratuitamente le proprie capacità al servizio della battaglia al covid-19.

A.C. Quello è un pezzettino. Dall’altro lato c’è però la preoccupazione degli addetti, perché si restringe la domanda, e penso a tutte le startup del turismo ma non solo. La domanda si comprime in quasi tutti i settori, forse tranne che nell’ambito della salute. E, più in generale, c’è una indisponibilità a guardare al futuro

M.F. È vero, lo vedo anche da parte degli investitori nel settore dell’equity crowdfunding. Molte campagne sono state rimandate a data da destinarsi e come ha detto qualche giorno fa Dario Giudici (CEO Mamacrowd) in un’intervista, “gli investitori sono alla finestra”.

Ma ricordiamo a chi ci legge che tu sei il presidente di Italia StartUp che in questo momento è l’associazione più rappresentativa, dal punto di vista numerico e non solo, del mondo startup. Conoscerai sicuramente quali sono le preoccupazioni più importanti in questo momento.

A.C. Chiaramente si respira una grandissima preoccupazione, soprattutto su due fronti: da una parte la liquidità immediata, perché per molte startup la presenza del covid-19  ha significato e significa blocco del fatturato o blocco delle attività che generano fatturato.

Dall’altra parte il tema è il funding, che probabilmente per il prossimo anno e mezzo potrebbe diventare più complicato, soprattutto nella fase di seed, perché la comunità degli investitori privati sarà impegnata nella ricostruzione dei propri business e potrebbe essere meno attenta e meno predisposta a mettere testa e soldi in nuove iniziative.

Queste sono le due principali preoccupazioni a cui bisogna cercare di dare una risposta. Il metodo che abbiamo adottato noi, rappresentando di fatto svariate migliaia di startup, alcune centinaia di scale-up, una sessantina di centri di innovazione tra i più importanti in Italia, centri di ricerca, nonché una quota di corporate molto attenta all’Open Innovation, è stato  ascoltare.

Ascoltare i bisogni e le proposte di tutti, che stiamo cercando di condensare in un documento finale che verrà presentato la settimana prossima e che trasferirà al Governo e agli stakeholder le nostre proposte per cercare di dare supporto a questo ecosistema in una fase molto delicata. Un ecosistema apparentemente piccolo nei numeri, ma che nella realtà è la punta di diamante dell’innovazione in Italia, ed è un elemento assolutamente essenziale per la ripartenza del Paese post covid-19. 

Nel frattempo abbiamo portato avanti sul nostro sito anche un’iniziativa, stimolando le nostre startup a farsi avanti per proporre soluzioni alle emergenze provocate della pandemia. E abbiamo creato un  database pubblico, dove ognuna di loro si è candidata con la Protezione Civile all’interno di tutti i bandi italiani ed europei per proporsi come solution provider.

Per fare un esempio, dalle app di tracciamento alla stampa 3D di dispositivi elettromedicali, robotica, app per bambini e molto altro. Ne è venuta fuori una lista di circa novanta aziende che hanno proposto soluzioni utili per affrontare il problema.

M.F. E noi li ringraziamo per questo. A tutto ciò si aggiunge poi un po’ di confusione al Governo. È vero che la soluzione non è semplice, ma forse si poteva evitare una continua sovrapposizione di decreti, con la “minaccia” della burocrazia dietro l’angolo.

Su questo e su tanti altri temi ci sono le proposte che voi avete avanzato e che sono raccolte sul sito in un link cliccabile dalla home page. Se vuoi possiamo commentarle insieme.

A.C. Ci sono proposte articolate per cercare di risolvere il problema della liquidità che può essere affrontato dal Governo in vari modi. Uno modo veloce potrebbe essere quello di estendere il plafond di MCC (Mediocredito centrale) e portare la garanzia per le startup e le Pmi innovative al 100%.

Su questo tema c’è un dibattito in Europa, perché le attuali normative lo limitano al massimo al 90%. Noi vorremmo che per il settore startup innovative fosse portato al 100%, perché sarebbe l’unico modo per non farle morire, e avere anche accesso a una pratica quasi automatica in banca, saltando l’iter valutativo (questa proposta è stata recepita al 100% nel nuovo decreto).

Un’altra ipotesi di lavoro sarebbe quella di sostenere un mercato del credito, ovvero dotare il Fondo italiano d’investimento di un fondo ad hoc per sottoscrivere prestiti convertibili richiesti dalle start up con un rapporto del 15% da parte dei soci e dell’85% dal fondo pubblico.

Un’altra strada è invece quella che stanno perseguendo come ipotesi di lavoro in Francia, dove hanno stanziato 4 miliardi di euro per l’ecosistema delle startup.  Un contributo secco di liquidità con un rimborso in 100 rate pari o uguale al montante del costo degli stipendi sostenuto da una startup nei due anni precedenti.

Un modo per avere un parametro molto semplice a fronte, chiaramente, di una garanzia dello Stato del 100%. Infine, c’è un’altra possibilità molto veloce per la liquidità, quella di poter ricevere immediatamente dallo Stato sotto forma di bonifico eventuali crediti d’imposta accumulati nei bilanci.

Questo è molto importante per le società che hanno fatto grossi investimenti. Avere due milioni di credito d’imposta in questo momento nel proprio bilancio è poco utile, averlo liquidato sarebbe un’ottima iniezione di liquidità.

Tra l’altro, liquidità che viene fornita subito a fronte comunque di un costo per la pubblica amministrazione distribuito negli anni successivi e già accertato.

Angelo Coletta Heroes
Angelo Coletta Heroes

M.F. Questa sarebbe un’operazione assolutamente semplice da fare. Bella proposta!

A.C. E aggiungerei per il prossimo anno una decontribuzione sulle assunzioni ed eventualmente una reintroduzione dei crediti d’imposta su ricerca e sviluppo, unita alla proroga di un anno della presenza nel registro delle startup innovative per quelle aziende che assumono.

Non un allungamento per tutti, ma per chi vuole continuare a investire e assumere. Si darebbe loro un altro anno per proseguire nelle proprie strategie. Poi c’è anche da immaginare quale policy e quali politiche fare per rafforzare i centri di ricerca, gli innovation hub, i programmi di accelerazione.

Questi sono attori intermedi che fanno selezione e che quindi hanno nel proprio portafoglio delle startup di qualità maggiore, maggiormente strutturate e di cui potrebbero essere dei motori a leva per il loro sviluppo.

Quindi bisognerebbe ragionare in termini di strumenti che possono aiutare questi soggetti a fare del funding oltre le SIS (Società di Investimento Semplice), per poter immettere questo funding dentro le startup e viceversa.

Per aiutare una startup non basta mettergli a disposizione dei soldi ma bisogna fornirgli anche le competenze per poter fare una execution di successo dei propri business plan. Fornire, tramite questi centri, una serie di programmi di accelerazione il cui costo venga sostenuto dallo Stato, per unire capitale e liquidità. E accelerare sulla execution.

M.F. Bene, grazie per questa bella panoramica. Ti faccio anche un’altra domanda: con l’incertezza attuale del sistema e considerando che ci sono interi settori fermi senza previsioni certe di riapertura in termini di modalità e tempi, come può esporsi oggi una startup?

A.C. Io sostengo sempre che la paura può generare due effetti: paralizzare oppure far funzionare al meglio il proprio cervello. Ecco, in questo caso il mio auspicio è che il cervello di tutti funzioni in modo accelerato nei prossimi mesi. Ogni debito è un impegno per il futuro.

È chiaro che qualcosa debba essere restituito ma io credo che bisogna avere il coraggio di interpretare questo momento come un’opportunità per fare ancora meglio quello che si faceva prima.

Il mio consiglio è di far funzionare la testa e di non far mai vincere la paura, anche se questa paura attraversa ragionevolmente tutti gli imprenditori, compresi gli startupper. Per qualche notte non ci farà dormire, ma credo che sia un prezzo insito nel fare l’imprenditore, e ancora di più nell’imprenditore che vuole innovare.

Come abbiamo imparato a convivere con la paura del covid-19, bisognerà imparare a convivere con la paura di un debito nuovo, preso per cercare di realizzare i sogni della nostra impresa.

M.F. Quando abbiamo chiacchierato, prima di questa intervista, mi hai detto una cosa molto bella: “Per uscire da questa situazione non basta che le startup si impegnino e non basta  che il governo metta in campo una serie di azioni, ma il sistema degli investimenti, quindi anche business angels e venture capital, devono fare il loro tenendo fede alla loro mission, di fare utili sugli investimenti in startup ma allo stesso tempo di rendersi disponibili ad assumersi qualche rischio in più”.

A.C. Credo che i venture capital abbiano lo stesso onere delle startup. Anche loro adesso sono un po’ presi dalla paura del futuro e in qualche modo cercano di moderare questa paura chiedendo aiuto al governo, ma anche a loro chiedo di farsi aiutare dal talento, dalla capacità di discernere gli investimenti migliori e di assumere rischi anche in questa fase.

Potrebbero e dovrebbero essere anti ciclici. Molti dei nostri VC hanno soldi in tasca in questo periodo e mi aspetto che facciano ancora meglio e di più il loro mestiere facendo investimenti. Semmai anche di più in questa fase, aumentando la velocità con cui analizzano il deal flow che gli viene proposto e correndo qualche rischio anche dove il mercato oggi non è chiarissimo a causa del covid-19, facendo onore alla parola “venture” che portano dentro il loro nome.

Io sono ottimista, così come sono convinto che anche i business angels faranno la loro parte, e lo hanno già dimostrato tante volte in passato. Dobbiamo auspicare che anche gli investitori giochino in attacco e non in difesa. Questo è il loro ruolo, quello di infondere energia finanziaria dove credono che ci possa essere capacità di successo. 

M.F. Ce lo auguriamo anche noi. Ancora uno spunto interessante su cui riflettere. Il covid-19 ci sta dimostrando che digitalizzazione e remotizzazione non sono più un’opzione ma un must, sono opportunità da cavalcare. Cosa ne pensi?

A.C. È  un’osservazione interessante. Questa digitalizzazione forzata di massa, secondo me, apre uno scenario di potenziale efficientamento del nostro paese. Perché forse riusciremo ad avere in futuro dei processi in cui per fare una dichiarazione di due righe non si dovrà passare una giornata in tribunale, e magari farlo con una piccola dichiarazione telematica protetta da blockchain o da qualsiasi altra tecnologia che rende certa la propria identità.

Si potrà sviluppare molta più telemedicina, che in fondo rappresenterà quello che prima erano gli ospedali territoriali, andando a ricostruire insieme ai medici di base una rete in grado di offrire servizi avanzati molto più vicini a casa.

Ho sentito un po’ sconvolto che l’AD di Telecom si sia meravigliato del fatto che riuscisse a far sì che i suoi operatori di call center lavorassero da casa, facendo una scoperta straordinaria che tocca proprio una delle nostre imprese di telecomunicazioni.

Quindi io credo che tante delle cose che stanno succedendo possano diventare dei semi di un futuro digitale dell’Italia migliore, che farebbe recuperare tanta efficienza al Paese aiutandolo a riemergere dalla crisi.

M.F. Ho un’altra domanda per te: nei prossimi mesi le startup avranno meno occasioni per presentare dal vivo i propri progetti.

Pensi che con le soluzioni a distanza riusciranno lo stesso ad essere convincenti con i loro pitch? Che cosa consiglieresti ad una startup che è in fase di avvio?

A.C. L’empatia fisica ha sempre un valore, però credo anche che in questo caso bisogna fare di necessità virtù, quindi diventeremo tutti più bravi a fare pitch e a presentare le nostre aziende da una webcam.

E sono convinto che dall’altra parte saranno capaci di valutare il talento, la bontà delle idee del lavoro e la potenziale execution dall’altra. Mancherà certamente quella fase in cui le due parti si confrontano, ma questo non bloccherà a mio parere lo sviluppo del funding delle aziende.

Quello che consiglierei a una startup in fase di avvio è di far finta che il covid-19 non esista,perché non è un elemento che nel medio e lungo periodo deve incidere sul nostro successo. È un fattore accidentale, antipatico, che crea alcune complessità ma che va visto per quello che è: un fatto accidentale che avrà una durata breve o un po’ più lunga ma comunque una frazione molto piccola della vita della startup che stiamo creando.

Per cui non è un elemento strategico di cui tenere particolarmente conto. Il messaggio quindi è di non lasciarci prendere dallo stress eccessivo della pandemia.

M.F.  Angelo, in Italia c’è la tendenza a intermediare su bandi e agevolazioni. Faccio un esempio partendo dalla Basilicata, che già due giorni fa ha pubblicato un bando che si chiama “Piccoli prestiti”.

Una delle prime regioni a pubblicare un bando che dà 30.000 euro a chi non è bancabile, a chi non proverebbe nemmeno a fare un prestito in banca, è  un bando di 30 pagine molto complesso, con una procedura e dei punteggi, senza pensare a quando arriveranno questi soldi.

Come vedi questa tendenza tutta italiana ad alimentare complessità e burocrazia? 

A.C. Questo è un grandissimo problema dell’Italia e che nello specifico, per le startup ma per tutte le imprese, è probabilmente il problema più grave al netto della dimensione degli aiuti che verranno dati. Se ho sete oggi, e mi portano un camion di bottiglie d’acqua minerale fra un mese, quando sarò morto, onestamente avrei preferito una borraccia subito.

Quindi sul tema della velocità la mia idea è che sia un elemento imprescindibile, e funzionerà se si avrà il coraggio di costruire dei meccanismi automatici. Perché pensare di entrare in ognuna delle vite delle startup diventa folle,  e quindi si rischierà di andare incontro alle morti delle startup.

Quindi la velocità è preferibile, anche a rischio di fare qualche errore in più. Il costo dell’errore è minore del costo dell’ipotetico controllo che diventa da sé il grande errore.

M.F. È fantastico che gli investitori, oggi più che mai, debbano sostenere le eccellenze italiane anche nell’ambito startup. Quali azioni può fare Italia Startup per diffondere questa consapevolezza? 

A.C. Quello che stiamo facendo è dare intanto alle nostre proposte il peso condiviso di un’associazione che rappresenta un’ampia fetta di questo ecosistema.

Dall’altra, nei limiti chiaramente delle nostre capacità e risorse, e con la collaborazione di tutti, di invitare tutte le startup, scale-up e tutti gli investitori a renderlo pubblico per fare in modo che la politica dia la giusta attenzione a questo fenomeno che nella testa dei politici sembra una cosa “cool” da garage ma invece rappresenta la dimensione di un pezzo importantissimo per il futuro dello sviluppo industriale  di questo Paese.

Per cui il vero obiettivo è di non essere trattati come una minoranza “radical chic” o da “figli dei fiori” ma come un pezzo veramente strategico, un asset del Paese da difendere e da sviluppare, perché è uno dei pezzi dove c’è maggior valore per il futuro di questo Paese. Quindi aiutateci tutti, noi cerchiamo di portare avanti la battaglia per tutti quanti.

M.F. Cosa succederà al fondo da un miliardo pronto?

A.C. Be’, la pandemia potrebbe essere un acceleratore. Intanto salutiamo con molto piacere il primo investimento italiano del FII (Fondo Italiano Innovazione) fatto in un fondo che mira a raccogliere 80 milioni – e il FII si è impegnato per 21 milioni – che sarà dedicato all’economia dello spazio.

Le startup che si occupano di questo segmento sono in grandissima crescita a livello mondiale e già ne esistono di interessanti soprattutto per il distretto che gira intorno a ComoNExT. Per cui direi che finalmente il Fondo italiano innovazione ha battuto il primo colpo. 

Sono certo che abbiano chiaro quanto questo momento sia particolare e che a questo primo investimento ne seguiranno altri con velocità. Tra l’altro c’è un progetto davvero molto interessante di Borsa Italiana di un mercato Mib e che ha l’obiettivo, replicando l’esperienza inglese, di fornire un mercato per la quotazione dei fondi di venture capital.

Questo potrebbe essere un ulteriore acceleratore di questa industria per facilitare l’arrivo in Italia di investitori stranieri che non conoscono il mercato in termini di raccolta, ma che hanno dei curricula di successo negli investimenti significativi e che quindi potrebbero attirare facilmente capitali istituzionali anche più importanti di quelli che sono oggi in movimento da parte di banche, assicurazioni e grossi grossi fondi di private equity.

M.F. Un’ultima domanda che mi ha rivolto un founder qualche giorno fa mentre mi parlava del lancio di una startup nel settore turistico, perché capirai benissimo il mood di questi giovani ragazzi che in un momento come questo si stanno addirittura chiedendo se far partire o meno il loro progetto.

Tu cosa consiglieresti a chi oggi sta avviando una startup nel settore turistico o ha già una startup abbastanza consolidata?

A.C. È chiaro che non bisogna scambiare l’ottimismo per una mancanza di realismo, ci sono alcuni settori specifici su cui il covid-19 avrà un impatto fortissimo. Prima ho parlato anche di me e della mia startup di cinema. Noi ci occupiamo di biglietteria elettronica per il cinema, ma con tutte le sale chiuse e finché non riapriranno, attualmente abbiamo un serio problema.

Senza contare che quando riapriranno i cinema occorrerà capire quanto tempo sarà necessario per tornare alle abitudini di prima. Lo stesso meccanismo vale per chi è impegnato nel turismo. Quindi ogni singolo imprenditore, in base alla sua azienda e alla situazione economica e finanziaria, deve fare delle valutazioni. Se il suo business aveva senso prima, avrà senso anche dopo.

Il problema è che bisogna passarci in mezzo. Questo “in mezzo” per alcuni settori vorrà dire due o tre mesi, per altri significherà magari saltare tutta la stagione estiva, probabilmente ci sarà un inverno lento e quindi il mercato comincerà a girare di nuovo l’estate prossima.

Quindi in questo caso, e riprendendo le parole di Sequoia, se credo che il mio business è valido devo aumentare la mia capacità di resilienza, che in questo caso è disporre della liquidità per passare attraverso  questo periodo, e possibilmente utilizzare tutti gli strumenti che il governo mette in campo, rimandare rate e mettere i collaboratori in cassa integrazione se necessario.

Però io penso anche che non bisogna perdere di vista la propria potenzialità di business rispetto alla situazione attuale. È una parentesi nella storia di un’azienda, e questa parentesi per alcune aziende potrebbe essere una parentesi così dolorosa da portarlo alla morte.

Qualcuno, per tutta una serie di motivi, si trova in un mercato sfortunato, in un momento in cui ha poca liquidità, e con grande difficoltà a trovarla per tempo può rimanerne schiacciato. Questo è un problema molto serio.

Il mio consiglio è accettare che a volte possono verificarsi eventi totalmente imprevisti, ma ciò non vuol dire che non siamo capaci e non siamo pronti per provare a riaprire un’altra azienda con la stessa energia di prima.

Quindi il mio augurio è che chi si trova veramente in questa situazione difficile sia la percentuale più piccola possibile del nostro sistema, e conto invece sulla capacità di molti di mettersi in una condizione dicresilienza attiva pronti a riscattarsi appena il mercato ripartirà.

M.F. Chiuderei con uno spunto positivo e d’ispirazione. Probabilmente il cuore della ripartenza è la capacità degli imprenditori di rimettere in mano le aziende ai propri dipendenti e i propri collaboratori.

La capacità di tenere saldo il team con tutte le difficoltà di lavorare in smart working, con la necessità di fargli capire ogni giorno che non tutto è perduto.

Da questo punto di vista che consiglio ti sentirsi dare a una startup ma anche in generale a un’impresa per mantenere alta la motivazione?

A.C. Ognuno ha i suoi collaboratori e loro sono in grado di percepire se il capo, la propria guida, è animata da un sentimento positivo oppure da un momento depressivo.

Quindi il mio consiglio è di essere forti e trasmettere sempre energia positiva senza nascondere le difficoltà, ma al contrario facendo sempre vedere la luce in fondo al tunnel. Credo che quando c’è una strada da percorrere, nessuno rimanga mai veramente fermo.

Ogni volta che indicate ai vostri collaboratori un tunnel in cui entrare, mostrando loro l’uscita, sono certo che vi seguiranno. D’altro canto se vi hanno già seguito in un’idea folle in cui pensate di avere successo, vi seguiranno anche adesso in un momento di difficoltà.

M.F. Bene. Bellissime parole. Angelo ti ringrazio davvero perché siamo riusciti a trattare gli argomenti più interessanti, e le tue parole sono davvero fonte di ispirazione perché tu non sei solo il presidente di Italia Startup ma sei anche un po’ un “presidente operaio”.

Sei infatti presidente, imprenditore e startupper,  e questi tuoi punti di vista inevitabilmente li ritroviamo in tutte le tue parole. La resilienza è sempre la chiave di lettura ottimale per gli eventi che accadono nelle startup. Grazie ancora ad Angelo Coletta per la sua grande disponibilità e per l’impegno che sta mettendo in questa sua missione legata all’ecosistema delle startup.

A.C. Grazie a voi!

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