Notre-Dame è al centro di Parigi, ed è al centro della Francia. Chiunque ci sia stato probabilmente ricorda che nella piazza davanti alla facciata, incastonato nella pavimentazione, c’è un medaglione di pietra e metallo con la scritta: Point zero des routes de France. Il punto zero delle strade della Francia, perché è da lì che si sviluppa tutta la mappa urbanistica di Parigi.

Ma Notre-Dame non è centrale per la Francia solo per questioni logistiche. Dal 1991 l’Unesco ne ha fatto patrimonio dell’umanità. È uno dei monumenti più visitati al mondo, che conosciamo tutti. Notre-Dame ha dominato il nostro immaginario per secoli e secoli, diventando protagonista di opere letterarie, di musical, del cinema… perfino della nostra infanzia. La celebre cattedrale gotica è sempre stata presente nel nostro immaginario, imponendosi come qualcosa di duraturo. È un monumento da togliere il fiato, ma è sempre lì, nell’Île-de-France e questo aveva un che di consolatorio, quasi rassicurante.

Quello che è successo ieri sera a Parigi, l’incendio di Notre-Dame, sembra aver scosso tutto il mondo. Da ieri i nostri social – tanto quanto i giornali e le emittenti televisive – sono inondati di foto della celebre cattedrale, simbolo non solo di Parigi ma in qualche modo, simbolo della civiltà occidentale e di approfondimenti di vario tipo legati alla sua struttura, ai materiali, all’architettura. Le autorità francesi, il presidente Macron e i restauratori (italiani e francesi) hanno subito rassicurato: Notre-Dame sarà ricostruita. Oggi si può fare, perché di quest’immensa opera d’arte ci sono miliardi di testimonianze e ne permetteranno una ricostruzione fedele e sicura.

E allora perché ci ha fatto così male? Cos’è che ha spinto migliaia di persone a stare lì, accanto al monumento simbolo di Parigi, a stringersi nel dolore e a piangere? Cos’è che ha spinto altrettante persone a condividere quel dolore sui social e a vivere questo evento con così tanta partecipazione? Questi sono solo alcuni esempi che si trovano sui social.

Non si tratta solo dell’incredibile patrimonio artistico perduto. Nella storia, anche abbastanza recente, diverse opere d’arte sono state danneggiate in modo grave da incendi. Pensiamo al rogo sul teatro Petruzzelli di Bari nel 1991, o alle fiamme sulla Cappella della Sindone a Torino nel 1991. Gli edifici bruciati vengono ricostruiti e riconsegnati a nuova vita. Anche se fa male vedere l’arte sfregiata dagli incendi.

Quello che è successo a Parigi però è un po’ diverso. Non è solo il patrimonio artistico ad andare in fumo, ciò che è bruciato è un simbolo. Un simbolo non solo per la Francia, ma per tutta l’Europa e tutti suoi cittadini, per tutte le civiltà occidentali. Siamo abituati ad immaginare (e a dare per scontato) che questi simboli sopravviveranno a tutto e a tutti, che sono indistruttibili, incrollabili. In qualche modo perenni. Che sopravviveranno persino a noi stessi. 

L’incendio di Notre-Dame ha scosso le coscienze di tutti proprio perché è il segno evidente che non è così. Che la nostra storia, i nostri monumenti, i nostri simboli sono fragili tanto quanto noi. E possono scomparire in pochissimo tempo. 

“E la cattedrale non era per lui soltanto la società, ma anche l’universo, ma anche tutta la natura. Non sognava altre spalliere fiorite se non le vetrate sempre in fiore, altra ombra se non quella del fogliame di pietra che si apre carico di uccelli nel folto dei capitelli sassoni, altre montagne se non le torri colossali della chiesa, altro oceano se non quello di Parigi che frusciava ai loro piedi.”
Victor Hugo, “Notre-Dame de Paris”

 

La cattedrale verrà ricostruita, le opere al suo interno sono sane e salve. L’incendio di Notre-Dame ci ha ricordato che, anche in una “cultura di massa” come la nostra,  un’opera d’arte e quello che rappresenta possono ancora diventare “virali”. Sia sui social media che nelle strade.